Blog Interviste

LindyHop: una lingua universale con cui poter dialogare

10 Settembre 2018 / Di

Luca e Irene di Swingin' Napoli

Buongiorno Irene, piacere di ritrovarti. Come state?

Ciao Swing Fever e tutti i lettori. Grazie di questa occasione di parlare assieme, siamo belli carichi di ritorno da un bel giro per festivals. Fa cosi bene incontrare altre persone, imparare viaggiando, ti mette nella giusta ottica per affrontare il mondo nella realtà quotidiana, agendo nell’individuale come parte di un universo più ampio… per me è stimolante!

Luca e Irene di Swingin' Napoli
Luca e Irene di Swingin’ Napoli

Parliamo di Swingin’ Napoli, dal 2010 sulla scena swing: com’è cambiato lo scenario in Campania in questi anni?

Molto, ma con calma per fortuna.

Luca ed io siamo molto soddisfatti, una delle ultime occasioni in cui abbiamo visto cosi tanta gente ballare assieme a Napoli, ci siamo guardati negli occhi e ci siamo stretti la mano facendoci i complimenti a vicenda, abbiamo raggiunto l’obbiettivo che 10 anni fa ci eravamo posti. Quando è nata Swingin’Napoli, in città nessuno sapeva cosa fosse il Lindy Hop, o che il jazz swing si potesse ballare assieme. C’era qualcuno che ricordava di aver fatto del rock’n’roll ma non lo praticava più.

Ormai il fulmine ci aveva colpito volevamo saperne di più, ma continuare a frequentare le serate in altre città, oltre ad essere stancante, ci lasciava sempre con l’amaro in bocca di non aver degli “amici” in città con cui condividere. Ed è per questo che abbiamo cominciato a diffonderlo a Napoli: per avere gente simile attorno, perché era fonte di gioia e andava condivisa, perché capissero cosa ci fosse di così bello, e perché se per noi era stato cosi divertente volevamo fare qualcosa di bello per la nostra città.

Si può dire che questo germe iniziale della condivisione tra amici, si è moltiplicato.

Oggi a Napoli ci sono molte persone che seguono le serate di swing da ballare, e molte ancora si avvicinano, esistono altre realtà oltre la nostra, che come noi promuovono corsi e serate di Lindy Hop, e questo vuol dire che abbiamo vinto la sfida in cui ci siamo impegnati e abbiamo investito il nostro tempo negli ultimi 8 anni.

Il lavoro non è stato facile, è stato come piantare dei semi nella terra e avere cura e fiducia che prima o poi qualcosa sarebbe nato; e poi quando è uscito un germoglio lo abbiamo difeso dalle intemperie e dalla corsa ai frutti e ai guadagni, alimentando la curiosità e coltivando anche l’interesse del pubblico offrendo cose di qualità.

La vostra professionalità è riconosciuta da molti vostri allievi: come impostate la didattica e cosa è importante trasmettere agli allievi per voi?

Non essendo una ballerina dall’infanzia ho dovuto creare un mio metodo sia per imparare a danzare, sia soprattutto per trasmettere queste competenze ad altre persone, e in questo ho attinto dall’esperienza teatrale e dalla forma mentis di un padre maestro.

C’è un motto a me caro che dice: ”Per insegnare il latino a Giovaninno, oltre a conoscere il latino, devi conoscere Giovannino” Ecco credo che questo sia uno dei principi base dei corsi che propongo ai nostri soci.

L’occasione di poter stare assieme le persone, apprendere una danza di coppia nella sua forma sociale, con le sue regole e le sue fantasie, per me è una pratica di militanza dal basso contro la depressione, l’isolamento egoistico, e il tentativo di far nascere nelle persone tanti germogli, che diventeranno piante e renderanno l’aria che respiriamo socialmente più leggera e salubre.

Per natura mi chiedo sempre il perché delle cose che faccio, e fin dall’inizio quello che ho colto come motore nel Lindy Hop era la forza rivoluzionaria rispetto al contesto politico sociale in cui nacque, e il grande potere che hanno le persone quando stanno bene assieme. Queste sono le premesse con cui introduciamo i nostri allievi nei corsi principianti: sono corsi amatoriali per persone che vogliono imparare una sorta di lingua universale con cui poter dialogare con altri lindyhopper in tutto il mondo.

Nel progetto Swingin’ Napoli sono coinvolti artisti e istituzioni con cui collaborate costantemente: pensate sia importante avere un network con cui confrontarsi e portare avanti i vostri progetti?

Nel nostro piccolo abbiamo cercato di scegliere sempre artisti di qualità, che portassero a Swingin’Napoli la loro esperienza per stimolare le persone che ci seguono. E abbiamo ancora dei sogni nel cassetto.

Credo sia molto importante costruire connessioni e ponti tra le realtà che lavorano nello stesso campo, serve a non sentirsi soli, a crescere. Ciò però prevede un forte senso dei propri limiti e delle proprie potenzialità, in due parole: umiltà e impegno.

Credo che in Italia dobbiamo migliorare sulla collaborazione. Siamo un paese il cui la concezione del lavoro è ancora profondamente feudale per concepirlo come forma collettiva. Il settore culturale e ricreativo in Italia è promosso da realtà grandi, cosi come, in molti casi, anche affidato agli sforzi di piccole realtà che resistono, questo non solo nel ballo.

E i piccoli che potrebbero collaborare, si dividono in altri più piccoli, per sentirsi dei grandi, col risultato che molte forze purtroppo vanno sprecate. E col passare del tempo aumenta l’esperienza ma diminuisce l’entusiasmo.

Fare arte è un impegno esistenziale oltre che un lavoro a cui dedicare il tempo, ed è giusto averne un guadagno, ma in nome del guadagno non si possono negare dei valori fondanti dell’impegno esistenziale.

Ad esempio, se per me insegnare un passo di lindy hop vuol dire dedicare del tempo a una persona per rinforzare la sua parte debole, psicomotoriamente o socialmente parlando, questo si scontra con la possibilità di avere troppe persone in classe, e di conseguenza rapporto umano .vs. rapporto economico.

O anche ad esempio, se io credo profondamente nel rispetto delle persone e dei diritti umani, in nome del guadagno non distruggo l’operato degli altri o non sono violento nel parlare e nei modi per dimostrare la mia forza.

Questo vale per tutti gli umani, ma ancora di più per chi lavora nel campo dell’arte e dell’educazione, anche se non professionale o amatoriale.

Swing Fever è media partner del festival Song’Swing: com’è andata l’edizione del 2018?

All’inizio eravamo molto timorosi, abbiamo cominciato tardi la programmazione perché non eravamo sicuri di poter sostenere il livello qualitativo dell’anno precedente. Ma per fortuna siamo riusciti a proporre un programma con artisti internazionali, e speriamo nei prossimi anni di mantenere alto il nome del festival.

Per noi Song’ Swing ha due significati. Uno è affermativo e rivolto ai locali: IO SONO SWING, che è un grido per riconoscersi e un urlo di vita. L’altro è come una domanda rivolta al mondo intero, Napoli esiste ed è piena di swing, venite a trovarci?

Il festival vorremo che diventasse occasione per sempre più persone di conoscere una città come Napoli cosi varia, eterogenea e viva che ti salta addosso e ti impressiona.

Napoli è la città in cui la musica swing ha trovato carne e talento, uno su tutti Renato Carosone, e l’impegno profuso in questi anni nel creare ed alimentare la scena swing ha significato anche spingere e sponsorizzare la crescita di formazioni musicali locali che creassero e ricercassero una musica per ballare. Anche su questo stiamo ancora lavorando tutti, ma alcuni risultati di qualità già si sentono.

Luca e Irene di Swingin' Napoli
Luca e Irene di Swingin’ Napoli

La stagione 2018/2019 è alle porte: un consiglio che vi sentite di dare ai nuovi allievi?

La vita è una sola e non c’è tempo da perdere nel pensare di non essere abbastanza bravi, meglio provare, forse sbagliare per riprovare.

Due consigli da due maestre, uno per chi arriva o sta per arrivare ai nostri corsi, Marta Graham direbbe: “A nessuno importa se sei bravo nella danza, solo alzati e danza.

L’altro è un promemoria per noi del team Swingin’Napoli e ce lo dice Pina Bausch: “Non mi interessa come la gente si muove, mi interessa cosa muove la gente.”

Complimenti a te e al team di Swingin’ Napoli e a presto.

Grazie a voi, vi aspettiamo presto in pista a Napoli.

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