Anni ’60, gli anni del boom: economico, della musica leggera e dei balli
Se si parla degli anni ’60 si pensa subito al Twist. Gambe che dondolano da una parte e mani che oscillano dall’altra, ma si commette un grande errore riducendo tutto ad un unico stile di ballo. Fu un’epoca prolifica in realtà, soprattutto in America e, come il Twist, ci furono molte altre canzoni, che oggi definiremmo “tormentoni”, accompagnate da passi o piccole coreografie.
Partiamo proprio da Chubby Checker che dopo il singolo del 1960 “The Twist”, nel 1961 sforna “Let’s Twist Again” e “Pony Time”. Il The Pony era caratterizzato da un uomo e una donna posti uno di fronte l’altro, che, stando separati, facevano scambi di posto e veloci triple step, a volte imitando una cavalcata.
Abbiamo poi la mitica “The Loco-Motion” cantata da Little Eva e scritta, nientepopodimeno che, da Carol King nel 1962. Un pezzo su cui ancora oggi non si riesce a stare fermi. Chi resiste all’invito: “Come on baby, do the Loco-Motion?”
Generalmente abbinato alla canzone di Dee Dee Sharp “It’s Mashed Potato Time” del 1962, abbiamo proprio l’omonimo passo The Mashed Potato. Guardando i video dell’epoca si vede Dee Dee accompagnata da alcune ballerine che ripropongono questo step, che consiste nell’aprire e chiudere i talloni (volendo semplificare al massimo.). Viene però ballato anche su altre canzoni quali: “Do the Mashed Potato” di King Coleman, “Do you Love me?” dei Countours e su “Mashed Potato USA” di James Brown. Passo che, tra le altre cose, pare sia stato inventato proprio da James Brown.
“Non ho soldi nel mio portafogli, così faccio l’autostop”, con il singolo “Hitch Hike” di Marvin Gaye del 1963 il gesto dell’autostoppista diventa una delle dance moves più famose degli anni ’60. Forse perché adatta a tutti, anche a chi nel ballare non era abilissimo.
Non possiamo dimenticare il The Jerk dalla canzone dei The Larks del 1964, che consisteva nel portare in alto le braccia per poi rilasciarle con dei piccoli scatti (jerky), accompagnandole con il movimento del petto; e poi abbiamo anche il divertentissimo The Swim dall’omonima canzone di Bobby Freeman in cui si simula proprio il movimento di una nuotata.
Interessante è anche sapere che agli inizi di questi gloriosi anni è nata in America la figura delle go go dancers, ballerine con abiti succinti, gonne corte o costumi con le frange, che prima intrattenevano nei night club e che poi sono sbarcate in televisione. Venivano chiamate in questo modo per la loro carica e la loro grinta. Il termine deriva da “go go” che in inglese è un incitamento il quale prende origine a sua volta dall’espressione francese “à gogo” “in abbondanza”, da “la gogue” che significava, nel francese antico, “gioia, felicità”.
Verso la metà degli anni ’60 in America il locale “Whisky a go go” nella West Hollywood a Los Angeles le ha inserite nelle sue serate, facendole ballare all’interno di alcune gabbie (intrattenimento che viene usato ancora oggi in molte discoteche). Dal 1965 in poi iniziarono anche a comparire in spettacoli televisivi accompagnando le band.
L’influenza americana in Italia
Quest’epoca ha significato molto anche per noi italiani. Subendo l’influenza americana, abbiamo quindi importato e poi modificato, adattandoli al nostro gusto, balli come l’Hully Gully (sì, si scrive così) e sono nate canzoni come “I Watussi” e “Hully Gully in 10” di Edoardo Vianello. Il termine “Hully Gully” veniva da un gioco americano in cui uno dei giocatori scuotendo una manciata di noccioline chiede all’altro: “Hully Gully, quanti sono?”.
Il termine Watussi, invece, viene dalla popolazione dell’Africa centrale i Tutsi, i quali vivono nella regione dei grandi laghi (Burundi, Rwanda, Congo). Sono divenuti famosi, all’epoca, per il film King Solomon’s Mine del 1950, in cui li si vede danzare con i loro costumi tradizionali. L’influenza di questo film è stata tale che nel 1962 esce il singolo dei The Orlons “Wah-Watusi” e a seguire altre cover del brano o canzoni che ne riprendono il titolo.
In Italia poi abbiamo avuto anche il “surf”: un ballo e uno stile musicale che venivano dalla California, i cui maggiori esponenti saranno poi i Beach Boys, e il cui nome prende origine dal famosissimo sport che dilagava in America. A far proprio questo stile “italianizzandolo” sono stati Rita Pavone nel 1964 con “Datemi un martello”, Catherine Spaak con “L’esercito del surf” e Vianello con “Tremarella”.
In realtà in questo periodo ci sono stati numerosi altri balli e dance moves, ma ci siamo limitati ai più importanti. Gli anni ‘60 sono stati anni pieni, sotto ogni punto di vista: dalla moda alla politica, dal ballo alla musica, dal femminismo all’attivismo civile e riscoprire questi vari aspetti non può che aiutarci a capire il presente e a prendere ispirazione dal passato.
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